Nelle serate pubbliche una informazione che normalmente accompagna l’attività divulgativa è quella relativa alla distanza degli oggetti che vengono visti al telescopio; al riguardo bisogna sapere che a fino a circa 100 anni fa ancora si discuteva sulla reale natura della Galassia di Andromeda, che oggi sappiamo essere una “vicina” della nostra Via Lattea, ma per la quale, allora, non si conosceva con precisione la distanza.
Alcuni astronomi pensavano che Andromeda e gli altri oggetti simili fossero nubi all’interno della nostra Via Lattea mentre altri credevano che fossero galassie indipendenti poste a distanze molto elevate.
L’astronomia dei secoli scorsi ha visto come protagonisti principalmente uomini, ma alcune donne hanno contribuito a scoperte fondamentali per il progresso delle nostre conoscenze. Il primo passo verso un metodo per la misura della distanza cosmiche venne fatto dall’astronoma Henrietta Swan Leavit che, nel 1912, studiò un gruppo di stelle variabili chiamate “Cefeidi”, che si trovavano tutte approssimativamente alla stessa distanza, in una piccola galassia satellite della nostra, la cosiddetta Nube di Magellano.
Queste stelle cambiano la loro luminosità periodicamente, con un periodo di alcuni giorni. L’astronoma, nell’analisi delle lastre fotografiche, nel marzo 1912, con un articolo di tre pagine, firmato dall’astronomo Pickering ma scritto da Henrietta (era un’epoca in cui il maschilismo dominava ancora pesantemente sul mondo della scienza), evidenziò una notevole relazione tra la luminosità di queste variabili e la lunghezza dei loro periodi ed in particolare il fatto che le variabili più luminose avevano i periodi più lunghi.
In sostanza per queste stelle, misurando il periodo di variabilità, è possibile conoscere la luminosità propria della stella e, quindi la sua distanza in base alla luminosità apparente. La luminosità di un oggetto varia con l’inverso del quadrato della distanza dall’osservatore, ad esempio la luce di un lampione osservata a 100 metri di distanza apparirà 4 volte più brillante di uno a 200 metri, quindi, conoscendo dell’intensità luminosa assoluta del lampione (o della stella), misurando l’intensità luminosa percepibile dall’osservatore, si può calcolare la sua distanza.
Grazie a questo metodo si poté appurare definitivamente che le distanze galattiche erano molto più grandi di quanto si pensasse e che, di conseguenza, anche il nostro universo lo era.
La prima stella di questa categoria ad essere scoperta fu Delta Cephei nella costellazione di Cefeo, distante 890 anni luce dal sistema solare. Dalla costellazione di appartenenza deriva il nome variabili cefeidi.
Si evidenzia, per completezza, che a tale metodo di misura se ne affiancano altri (parallasse, supernovae, ecc).
La stella Delta Cephei. Crediti: STScI