“Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti…. (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) … le farfalle e le mosche continueranno i lor voli indifferentemente verso tutte le parti, né mai accaderà che si riduchino verso la parete che riguarda la poppa, quasi che fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave … né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma ….E di tutta questa corrispondenza d’effetti ne è cagione l’esser il moto della nave comune a tutte le cose contenute in essa ed all’aria ancora”.
In un precedente post abbiamo visto le enormi velocità che caratterizzano i moti della Terra, mentre, come sappiamo, fino al 1600 imperava la convinzione “scientifica” che la terra fosse immobile al centro dell’universo mentre il sole i pianeti e tutti i corpi celesti le giravano attorno.
La teoria Eliocentrica di Copernico, pubblicata nel 1543, non era stata ben accettata anche in ragione del fatto che i nostri sensi sembravano smentire categoricamente l’esistenza di moti della Terra; dal punto di vista sensoriale non percepiamo il movimento di rotazione e, al tempo, si affermava che, se la Terra fosse stata in movimento, gli uccelli in volo sarebbero dovuti rimanere indietro, il fumo avrebbe dovuto salire in cielo obliquamente, e così via. Se ciò non avveniva era perché la Terra era immobile.
Galileo Galilei, agli inizi del 1600, dopo aver compiuto le osservazioni con il cannocchiale, è convinto della correttezza della teoria Eliocentrica copernicana, che implica il movimento di rotazione della Terra sul proprio asse per spiegare l’alternanza giorno/notte, nonché intorno al Sole, e intuisce e spiega le ragioni per cui le argomentazioni sopra riportate non erano corrette.
La ragione è da ricercarsi in una legge della fisica, detta principio d’inerzia scoperta appunto da Galilei: “un corpo non sottoposto a forze permane nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finché non interviene una forza esterna ad interromperlo”. La Terra, l’atmosfera e tutte le cose poste in superficie sono caratterizzate dallo stesso moto rettilineo uniforme. Un qualunque oggetto fisso terrestre, avendo lo stesso moto della Terra, si muove alla medesima velocità, nella medesima direzione.
In quanto corpi fisici, tutte le cose, noi compresi, sono quindi sensibili alle accelerazioni, ma del tutto indifferenti alla velocità, infatti, nell’esperienza comune, ci accorgiamo quando ad esempio un treno parte o si ferma, ma quando lo stesso treno viaggia a velocità costante, senza guardare fuori del finestrino non ci rendiamo neppure conto di essere in movimento (a qualcuno sarà capitato anche di non rendersi conto, in stazione, se a muoversi è il treno sul binario vicino o il nostro finché non si guarda un oggetto fisso).
Lo stesso vale quando viaggiamo in aereo dove siamo ben consci delle fasi di accelerazione e decelerazione del decollo e dell’atterraggio, ma dove, una volta in volo, pur muovendoci in avanti a quasi mille km orari, possiamo camminare avanti ed indietro tranquillamente come se fossimo nel corridoio di casa (salvo turbolenze!).
Tale principio fu scoperto e spiegato da Galileo Galilei che ce lo illustra nel “Dialogo intorno ai due massimi sistemi del mondo”. Al tempo non c’erano treni o aerei e quindi, per spiegarlo, si servì di una nave…
“Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all’amico alcuna cosa, non piú gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succedere cosí, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima, né, perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua, benché, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro salto; e gettando alcuna cosa al compagno, non con piú forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l’opposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con piú fatica noteranno verso la precedente che verso la sussequente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell’orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor voli indifferentemente verso tutte le parti, né mai accaderà che si riduchino verso la parete che riguarda la poppa, quasi che fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state separate; e se abbruciando alcuna lagrima d’incenso si farà un poco di fumo, vedrassi ascender in alto ed a guisa di nugoletta trattenervisi, e indifferentemente muoversi non piú verso questa che quella parte. E di tutta questa corrispondenza d’effetti ne è cagione l’esser il moto della nave comune a tutte le cose contenute in essa ed all’aria ancora”.